“Andersen screziò la sua narrativa con ogni possibile tocco ‘conversazionale’: neologismi, modi di dire che determinassero picchi di attenzione nel lettore, frequenti incidentali o parentesi; slang tipici di Copenaghen, molte licenze. E soprattutto un uso liberissimo delle particelle del discorso” R.P. Keigwin.
“… fu così mutilato dalla maggior parte dei suoi traduttori; è sorprendente che sia a ogni modo sopravvissuto. La risposta potrebbe essere che, anche sotto le vesti che i suoi traduttori e adattatori vittoriani gli hanno imposto, non c’era nulla di simile né nella letteratura americana né in quella inglese. Andersen recava qualcosa di sconosciuto all’Europa. È vero che neppure il miglior traduttore renderebbe piena giustizia alla sua lingua e al suo stile.” Bredsdorff.
Andersen produsse una mole notevole di scritti, romanzi, opere teatrali, resoconti di viaggio, ma i suoi contemporanei lo amarono e lo rinchiusero nel mondo della letteratura per l’infanzia, spesso modificando le sue fiabe originali con adattamenti incongrui e moralizzatori.
Uno dei temi cari ad Andersen fu quello del diverso che lotta per essere accettato, tema che egli svilupperà e approfondirà: il diverso “non collocato o non collocabile”, riferito a qualcuno che ineluttabilmente, per sua natura, non può trovare il proprio posto nella realtà che lo circonda, come “sospeso” tra due mondi a nessuno dei quali può appartenere appieno.
Elisabetta Podda continua la sua ricerca sul magico e sulla fiaba riscrivendo e mettendo in scena una delle fiabe preferite dall’autore danese ed anche una delle più lunghe: La regina delle nevi.